lunedì 26 febbraio 2007

DOPPIO FESTIVAL A MARZO!!!

Doppio festival a Marzo:
Dal 2 al 4 sarò ospite a Brussels, con il mio recente libro per bambini Il mostro nella tazzina, della FETE DES ARTS organizzata da BRXL BRAVO (clickare per il programma delle giornate) in collaborazione con Piola Libri e il Club del Libro di Daniela Terrile.
Dal 14 al 18 a Bologna l'Associazione Culturale Hamelin, il gruppo Canicola in collaborazione con Black Velvet Editrice la città di Bologna e le realtà indipendenti italiane darà vita a BILBOLBUL, primo FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL FUMETTO, una voce nuova e un importante evento per la città e per il fumetto indipendente italiano, con mostre dedicate al grande maestro Magnus (Magnus Pirata dell'Immaginario, catalogo Black Velvet) e a giovani autori italiani e non, tra cui il tedesco Arne Bellstorf di cui la Black Velvet sta per dare alle stampe lo splendido romanzo grafico d'esordio Otto Nove Dieci. Nel corso del festival svariati autori si avvicenderanno per incontrare il pubblico e dedicare le opere più recenti, compreso il sottoscritto: per tutti gli aggiornamenti potete controllare sul sito di BILBOLBUL nell'area dedicata oppure qui su Ossario nei prossimi giorni!

venerdì 23 febbraio 2007

I WAS BORN ON PLANET EARTH II

Due strisce apparse a distanza di un anno l'una dall'altra sulla rivista-manifesto "Silent Wall" della città di Pancevo, Serbia. Entrambe a tema l'inquinamento.

martedì 20 febbraio 2007

I WAS BORN ON PLANET EARTH

“I really wanted to put a bullet between the eyes of every endangered panda that wouldn't screw to save its species and every whale or dolphin that gave up and ran itself aground.”
[Tyler Durden - Fight Club]

Lo sguardo annebbiato dalle tre ore di sonno della sera precedente fisso lo schermo 14 pollici a casa dei miei genitori. È notte. Trasmettono le scene di un massacro di delfini in una baia giapponese. Si dibattono con la gola tagliata, soffocando nel loro stesso sangue.

Questo è il video. Questo è ciò che siamo.

http://glumbert.com/media/dolphin

Soundtrack:
Bad Religion Watch it die (Recipe for hate - 1993)
Megadeth Countdown to extinction (Countdown to extinction - 1992)
Sepultura Biotech is Godzilla (Chaos A.D. - 1996)
Bjork Nature is ancient (Björk's Family Tree - 2002)
Rise Against Ready to fall (The sufferer and the witness - 2006)

giovedì 15 febbraio 2007

SILENT KINGDOM COME

Prima tavola completa (e da sgommare) della storia d'apertura (e ultima in ordine di realizzazione) di Regno di Silenzio, il mio nuovo libro in uscita per Underground Press in occasione del Comicon 2007!

I LUOGHI DI VERONARCANA

[Ecco i luoghi arcani reali dove si svolge il mio racconto "Il pozzo": in senso antiorario: Piazza dei Signori (deturpata dalla statua di Dante), Via Mazzanti e una stampa antica che ritrae il pozzo in questione, un inquietante scorcio delle case Mazzanti -idealmente dove vive Silvia- e infine le Arche Scaligere.]


VERONARCANA

[Cosa c'è di bello a Verona, la mia città natale? I luoghi misteriosi. Le case infestate. Le maledizioni di cui una città è pregna. Ormai tre anni fa venni coinvolto, insieme ad altri scrittori nostrani, nel progetto di narrare un'"altra" Verona nelle notti di Halloween presso la libreria "Il Minotauro" (del cui labirinto sono stato ospite per oltre 4 anni). Nacque così il personaggio di Cristiano Sepolcro, medium, stregone & esorcista veronese. Qui di seguito la sua prima avventura, ambientata tra le Arche Scaligere, Piazza dei Signori e l'arcana Via Mazzanti. L'antefatto storico su cui si basa il racconto è reale. Buona lettura]

Il pozzo
[racconto © Alberto Corradi 2005]

Dedicato a Washington Irving, Tim Burton e Hideo Nakata.

Chi sei?
Non lo so.
Dove sei?
Qui, dove sono sempre stato.
Dove?
Nel pozzo. Con i morti.
Cosa fai?
Aspetto.
Perché?
Perché i morti non dormono mai.


Faceva fresco quella notte di ottobre, e il custode delle Arche Scaligere stava concludendo il suo giro di controllo. Ogni tanto capitava, ogni tanto, che qualche vagabondo o balordo si infilasse tra i monumenti in cerca di riparo o chissà che altro. E a lui toccava vigilare.
Aprì il cancello di ferro battuto e si infilò tra le tombe armato di torcia.
Sarebbe stata questione di pochi minuti, una rapida occhiata e poi di nuovo al caldo, in casa. Ma nello spiazzo lo attendeva una sorpresa. Un bambino, uno splendido fanciullo dai biondi boccoli se ne stava seduto solo soletto al centro delle Arche. La bellezza del bambino pareva quasi generare un alone di luce soffusa che rischiarava lo spazio intorno a sé. Tutto era assurdo, l’ora, il posto, la situazione: il piccino se ne stava lì, vestito solo di una finissima cotta di maglia argentea, i piedini paffuti che facevano capolino da sotto la lunga veste. Roba da broncopolmonite.
Si chinò sul bambino con un sorriso, ma prima che potesse aprir bocca: “Sai chi sono?” Quello lo fulminò con la sua voce, leggera come un sussurro.
Il guardiano sbiancò: non sapeva che rispondere.
“Il mio nome!” Ed esibì un adorabile broncino.
“Non lo so, mi… mi dispiace.” Balbettò.
L’uomo era sconcertato, non sapeva più se muoversi, prendere in braccio il piccolo, chiedere in giro, telefonare a qualcuno… Se ne stava lì impalato a fissare quel cosino mentre il suo respiro si addensava di continuo in piccole nuvolette di vapore. Era paralizzato.
“Non lo sa.” Mormorò deluso.
Il custode non aveva fatto caso all’immane ombra che incombeva su di lui, alle sue spalle.
Si rese conto che qualcosa non andava quando udì il sibilo della lama estratta con rapidità dal fodero. Finalmente si voltò a guardare.
Troppo tardi.
La sua testa rotolò lontano, spiccata dal busto.

“Qui, qui! Guarda che roba! Ma è possibile? Di tutti i posti dove uno deve farsi ammazzare proprio in pieno centro, con tutti i giapponesi e le loro macchine fotografiche che ci sono sin dalla mattina presto? Io in foto vengo uno schifo, in digitale poi ancora peggio!” Lo sbraitare del maresciallo era coperto dal brusio della folla che si accalcava intorno alla cancellata sconnessa delle Arche, in cerca di un particolare macabro da raccontare. Ma non c’era granché da vedere: un telo già aveva coperto il cadavere, mentre la scientifica stava finendo il primo sopralluogo. Il maresciallo si tormentava la pelata, coi nervi a fior di pelle.
“Francesco!” Una voce si staccò dal brusio di fondo. Tutti gli agenti si voltarono a guardare, mentre un questurino sbarrava la strada a un giovane dai lineamenti affilati.
Il maresciallo Trebaseleghe sospirò. “Fallo passare, lo conosco.”
“Ciao.”
“Guarda, ti ho fatto entrare sulla scena di un omicidio e già questo è contro procedura, quindi non ti ci mettere con qualcuna delle tue stronzate, d’accordo? Qui è da stamattina che tutto è un casino.”
“Chi hanno ammazzato?”
“Il custode delle tombe. Decapitato.”
Perlustrò l’area con lo sguardo.” Avete pulito? Alla faccia di quello che è contro procedura!”
Lo sguardo del militare si incupì. “No, tutto regolare. Non c’era sangue. Nessuna traccia.”
“Niente sangue? Cosa vuoi dire, che non ne aveva in corpo?”
“No, solo che non è uscito sangue dal taglio. Diavolo! Ce ne dovrebbe essere un fiume, invece nulla! Quelli della scientifica dicono che la ferita è come cauterizzata, ma senza ulcerazioni o bruciature. Guarda tu stesso”. Nel mentre che parlava sollevò per un attimo il telo. L’ospite sgranò gli occhi per la sorpresa.
“Ahhh. Ignis Inferi.”
“Ignis che?”
“Inferi. Vuol dire ‘Il fuoco dell’Inferno’. La lama che ha tagliato la testa non era di questo mondo.”
“Ecco, lo sapevo! Ora il soprannaturologo vuol dir la sua!”
“Medium, sono un medium.”
“Sei un cacchio di stregone, ecco cosa sei!”
Cristiano Sepolcro sorrise. Un sorriso che fece accapponare la pelle al maresciallo. Quegli occhi gelidi non tradivano mai alcuna emozione, e i capelli, biondi al punto da parer bianchi, lo facevano sembrare il figlio di una stirpe dannata. Ma tutto sommato, si ripetè per l’ennesima volta, quello stregone gli era già tornato utile. E se era lì c’era un perché. Un perché che non voleva sapere. Possibilmente. Si ricompose e lo guardò fisso. “Cristiano, curiosa in giro, fai ciò che devi, ma fai presto. Ho come la sensazione che questo caso lo dovrò archiviare tra gli irrisolti, quindi evitiamo che passi per fesso più di una volta al mese, vabbuono?”
“Vado vado… Ma, Francesco… e la testa?” Sorrise sornione.
“Dillo tu a me, Crowley.” Rispose acido l’uomo tracagnotto e sovrappeso.
Sepolcro annuì, dando un colpetto sulla spalla dell’amico in segno di commiato.
Attraversò a grandi passi Piazza dei Signori e nel mentre lanciò uno sguardo sbilenco all’Alighieri e una maledizione a chi l’aveva messo lì, rovinando il punto di fuga della piazza medievale. Si accomodò sulle scalette affianco della Pizzeria Impero, a riflettere. Qualcosa, come al solito, l’aveva attirato a sé, ma ora il potere di quel richiamo si stava affievolendo. Era giorno fatto ormai, e gli spettri sono forti nel cuore della notte o nell’ombra delle case, non alla luce del sole. Già. Si voltò a guardare la piccola Via Mazzanti. Come un sasso nella gola di un assetato, spiccava tra le case l’enorme vera da pozzo, tappata con un coperchio di ferro da che aveva ricordi. Il pozzo. Forse. Si tirò su e andò verso il cilindro di marmo. Man mano che si avvicinava sentiva il richiamo tornare a vibrargli nelle ossa, simile a un lamento. Stese la mano per stabilire un contatto.
Una voce lo fermò. “Non lo toccare. Non farlo, ti prego.” Si girò di scatto con la mano a mezz’aria. Un piccolo portone si era spalancato e davanti a lui si trovava una ragazza poco oltre la ventina, in pigiama, scalza. Era terribilmente pallida.
“Cosa? Perché non dovrei?”
“Il pozzo. È maledetto. La bocca dell’Inferno sta per aprirsi.” E svenne. Sepolcro fece un balzo in avanti e la prese al volo. Era leggera, la sollevò in braccio e si incamminò lungo le scale dell’abitazione, nella speranza che la ragazza non si fosse tirata dietro la porta uscendo. Ma no, la porta era socchiusa.
Cristiano la spalancò, rivelando una carneficina.
“Mi dispiace Francesco, ma questo… proprio non ti farà felice.” Mormorò Sepolcro contemplando quel panorama di morte.
Tutti nella casa, e poi si scoprì tutti nel palazzo, tutti nella via.
Tutti erano morti. Senza sangue. Senza testa. E le teste non le avrebbe trovate nessuno.

La ragazza si chiamava Silvia. La sera prima era tornata da un Erasmus in Gran Bretagna, dove si era trattenuta per quasi un anno. I suoi l’avevano prelevata all’aereoporto, portandosi via le valigie e depositandola direttamente a una festa organizzata in suo onore, in casa di amici. Questo l’aveva salvata. Era rincasata all’alba, si era infilata il pigiama e poi sotto le coperte. Poche ore di sonno, poi un oscuro presentimento, un incubo forse, l’aveva destata di soprassalto.
La macabra scoperta, poi giù dalle scale, tra le braccia di Sepolcro.
Non aveva visto nulla del massacro, eppure qualcosa sapeva.
Terminato l’interrogatorio di rito con un Trebaseleghe torvissimo, si ritrovò sola nel salotto di casa con lo stregone. Aveva notato il timore che trapelava dagli sguardi che il maresciallo gli indirizzava di continuo, aveva capito che lui era lì perché era speciale. Cristiano parlò. “Prima, là fuori quando ti ho trovata. Che intendevi con ‘il pozzo’?” Mosse due passi in sua direzione e Silvia lo agguantò. Con gli occhi tumidi di lacrime prese a strattonargli disperata il lembo della giacca di pelle, singhiozzando: “Non capisci? È l’acqua. È l’acqua del pozzo! Tutta la via attinge acqua dal pozzo, la maledizione si trasmette così! Basta berla, lavarcisi, usarla per cucinare! E lui… lui saprà come trovarti.”
“Lui chi?” La incalzò Sepolcro sempre più interessato.
“Il Cavaliere Senza Testa”. Silvia si fece piccola. “Pensavo fosse una leggenda, me la raccontò la nonna quand’ero bambina. Le notti di fine Ottobre il fantasma di un cavaliere che vive nell’acqua ferma del pozzo esce col suo nero destriero a reclamare teste. È la sua vendetta: è carico d’odio perché gli hanno rubato la testa quand’era vivo e da allora pretende quelle dei vivi finché non gli verrà restituita la sua. Il pozzo… ne è colmo! È la bocca dell’Inferno che si apre una volta ogni cento anni!” Ansimò.
“Così l’acqua del pozzo è il vettore della maledizione. Bene. Resta solo scoprire chi è lo spettro per praticare l’esorcismo. Trovare il nome. Resta qui, più tardi mi dovrai aiutare.” La poverina annuì piano mentre riprendeva a piangere.
Uscì in strada e si guardò intorno: aveva poco tempo prima che calasse la sera. Da che parte iniziare? Non aveva la minima id… Restò di stucco, fissando la lapide commemorativa posta sopra il portone dell’abitazione. “Stupido idiota. La risposta stava lì, appesa sulla mia testa. Torna tutto, testa compresa.” Si precipitò a telefonare. Trebaseleghe aveva avuto il suo porco da fare per sistemare quella massa di cadaveri, tenere a bada la stampa, evitare che il questore, il sindaco, la giunta comunale e varie alte cariche dello stato lo schiacciassero a furia di pressioni. La telefonata di Sepolcro diede il via allo scoppio di isteria che aveva ritardato per tutta la giornata. Attaccò a sbraitare, insultando l’amico con veemenza. Lo stregone non fece una piega. “Francesco. Francesco! Tu fammi trovare il pozzo aperto. Stanotte. Non ti chiedo altro. Tu fallo e tutto avrà fine. Ciao.” E riattaccò mentre l’altro gli urlava “Va bene! Lo faccio! Maledetto stregone dei miei stivali!”.
Il maresciallo fu di parola. Quando lui e Silvia scesero nella via, il coperchio era già stato rimosso e il pozzo recintato con gli avvisi di pericolo.
Cristiano aveva fatto spesa: cinque metri di corda e una imbragatura da roccia, che assicurò stretta alla vita della ragazza. Silvia sapeva già tutto: doveva essere lei a calarsi nel pozzo e fare ciò che andava fatto, mentre lo stregone attendeva all’aperto per praticare l’esorcismo. L’aveva convinta con sufficiente facilità, dato che così la ragazza aveva l’opportunità di non vanificare la morte dei suoi familiari.
Quando arrivò in fondo al pozzo non trovò niente. L’acqua le arrivava alla vita. Era scalza, e capì subito su cosa stava camminando. Erano i crani delle antiche vittime del Cavaliere. Ricacciò indietro un grido di raccapriccio, fece come le aveva detto Sepolcro. Lo chiamò. “Dove sei?” Il pelo dell’acqua si increspò, come mosso da una brezza leggera. Apparve il bambino, che la fissava.
“Qui. E le parole stanno marcendo nella mia bocca. Sono qui.” E tacque.
“Cristiano! Cristiano! Qui c’è un bambino! Mi hai capito? C’è un bambino nel pozzo! Tiraci su, presto!”
“No! Silvia non ti muovere! Non è un bambino! È il suo tramite! Un’emanazione con cui riesce a comunicare col mondo dei vivi!” Diavoli. Pensò Sepolcro. Quello spettro era così potente da generare un riflesso di sé bambino. Doveva covare un rancore spaventoso. D’altronde, ottocento anni di agonie a cercare la propria testa non erano cosa da poco. “Silvia prendilo! Lui lo vuole! Fallo ora!” Strillò.
Silvia si fece avanti timorosa, sospinta dalle parole dello stregone. Il bambino era meraviglioso, aureolato di una luce spettrale azzurrognola. Le sorrideva triste, mentre lei si allungava tremante verso e nel suo viso. Chiuse gli occhi. Al tatto la pelle del bambino era come la superficie del pozzo: liquida. Vi infilò la mano e il cranio se ne venne via con un risucchio ovattato. Quando Silvia tornò a guardare, il piccolo era scomparso. Ma stringeva tra le mani il suo trofeo.
“Sepol…” Non fece tempo a finire di invocare il nome dello stregone che tutt’intorno a lei ci fu un ribollire improvviso, e sul pelo dell’acqua affiorarono le teste. Di tutti.
Sua madre la fissava con occhi di cadavere. Silvia urlò. Cristiano si precipitò alla bocca del pozzo.
“Silviaaa!!! Presto sali, sali! Sta per uscire! Sbrigati, portami il suo teschio!”
La ragazza in lacrime cominciò a inerpicarsi lungo la superficie scivolosa del pozzo, mentre Sepolcro tirava come un disperato per recuperarla in tempo. L’acqua ormai ruggiva di furia cieca, e dal pentolone stava per saltar fuori l’anima dannata. Silvia era lì lì per uscire quando la Bocca dell’Inferno si spalancò con un boato. Il pozzo vomitò il Cavaliere e il suo destriero, proiettandoli direttamente su Via Mazzanti. Come un proiettile, la carcassa rancida d’acqua del cavallo sfiorò i capelli di Silvia. Lei percepì il tanfo della putrefazione, mentre le bardature lacere sibilavano nel vento.
Come un’ombra nera, il Cavaliere ora era fra loro, la lunga spada scheggiata serrata nel pugno, la cotta di maglia lorda di muffa, le finiture dell’armatura marce e sbrindellate. Il destriero vomitava acqua nera e schiuma, fissandoli con atroci occhi rossi. Sepolcro restò paralizzato una frazione di secondo, poi si voltò a tendere la mano a Silvia che stava scavalcando. La tirò a sé, le strappò il cranio dalle mani e scattò verso il Cavaliere che sceso di cavallo incombeva su di loro. Si gettò in ginocchio, urlando mentre tendeva il teschio in direzione dello spettro che già levava la spada per decollarlo. Gridò.
“Tu sei Mastino I della Scala, sei stato assassinato ottocento anni fa in questa via! Ti hanno staccato la testa e l’hanno gettata nel pozzo! Era il 26 Ottobre del 1277 e questo è il tuo cranio! Accettalo come pegno del nostro rammarico e del rammarico di chi ha vissuto prima di noi!”
Il cavaliere s’arrestò, gettò via la spada, afferrò il teschio e lo rimise al suo posto. Dalla base del collo un fascio di filamenti proruppe a ghermire l’osso, avviluppandolo. Le vene presero a riformarsi, i muscoli a contrarsi, le cartilagini riapparvero sul setto nasale, gli occhi si riaffacciarono nelle orbite vuote. La pelle e i capelli infine ricoprirono il tutto.
Un’accesa luminescenza si propagò per la via, mostrando al mondo ciò che era andato perduto per ottocento lunghi anni. Il viso dell’antico Podestà della città era angelico, tratti di una tale dolcezza comparabili solo alla serenità del suo sorriso: l’età era indecifrabile, sigillata nello scorrere dei secoli. Volse occhi indulgenti verso i suoi liberatori.
Sepolcro parlò con voce ferma: “Vai in pace antico Signore. Hai avuto la tua vendetta e ottenuto ciò che bramavi. Eri un bambino triste che smarrita la via di casa è caduto in un pozzo da cui non riusciva a uscire. Ora sei libero. Chi può condannarti?”
“Forse solo un dio.” Bisbigliò Silvia.
Mastino I fissò la ragazza con i suoi begli occhi spenti, e un orripilante ghigno deformò i giovani lineamenti ancora e ancora, finché non fu che una maschera di paura con un sorriso disumano stampato sopra. La luminescenza spettrale si intensificò, fino a divenire una nova di luce in cui lo spettro e il destriero scomparvero, seguiti da una lunga, agghiacciante risata.
La notte si fece giorno per una frazione di secondo.
Tornata che fu la notte, solo Cristiano e Silvia restavano innanzi al pozzo, una stretta all’altro.
“Non dove è diretto.” Mormorò Cristiano, levando lo sguardo alle stelle, quella notte d’Ottobre del 2077, a Verona.

mercoledì 14 febbraio 2007

21 Febbraio mostra "The Artist" a Milano

Al Cox18 in Via Conchetta 18 a Milano, dal 21 febbraio, mostra di originali apparsi sul numero speciale di "The Artist"!!! Oltre alla presenza dei miei Mostro & Morto, ci saranno le splendide immagini di signorini quali Paolo Bacilieri, Maurizio Ercole, Mike Diana, David Vecchiato, Hunt Emerson, Ivan "Hurricane" Manuppelli, Pat Moriarity, Sergio Ponchione, Alberto Ponticelli, Maurizio Rosenzweig, Massimo Semerano, Squaz, Frank Stack, David Vecchiato, Aleksandar Zograf, Stefano Zattera, Niccolò Storai ed altri!

martedì 13 febbraio 2007

Un'illustrazione inedita che avrebbe dovuto essere ospitata in origine o sulla copertina o tra le pagine della defunta rivista "Nonzi", curata dai prodi Alessio Spataro e Valerio Bindi.

lunedì 12 febbraio 2007

Un inedito tanto per iniziare la serata: ogni anno in redazione Black Velvet incomincia il consueto dibattito su quale copertina utilizzare per il catalogo che di solito esce in coincidenza con il festival di Lucca Comics & Games. Questa è la prima cover scartata, per cui ancora adesso nutro un forte affetto: non solo perché ci sono i miei adorati pargoletti Mostro & Morto, ma anche perché rende omaggio al genio bislacco di Massimo Semerano e del suo dottor Cifra e al mondo surreale di Bardin il Superrealista creato dallo spagnolo Max, entrambi editi da Black Velvet.

sabato 10 febbraio 2007

[Questo è il primo di una serie di racconti che inserirò in rete un po' alla volta. Tengo molto al "Regno d'Ambrosio" perché è il mio personale omaggio al personaggio creato da Renato Olivieri, veronese classe 1925 trasbordato anni fa a Milano. L'uomo è stato tante cose oltre che a romanziere di successo: pittore, redattore di un quotidiano, ha diretto periodici nazionali. Tra i suoi romanzi ci sono Dunque morranno (1981), L'indagine interrotta (1983) e l'antologia Ambrosio Indaga, a cui si ricollega parte del mio racconto realizzato in occasione del convegno noir "Lineagialla" curato a Verona da Claudio Gallo, curatore del fondo Emilio Salgari presso la Biblioteca Civica di Verona. Buona lettura.]


Il Regno d’Ambrosio [Alberto Corradi 2006]

È Febbraio. Sulla città cade una neve impietosa, che va a coprire col suo manto le miserie di Milano e le tiene al caldo, in mesta attesa che la metropoli piagata di grigio corrompa anche il suo candore, tornando ad affiorare come un cancro germinato sulla pelle di un angelo caduto.
I milanesi lo sanno, e quando accade, amano Milano con slancio maggiore, perché l’amore è anche un sorriso triste che increspa gli angoli della bocca, reso tale dalla consapevolezza che chi si ama, spesso, non è la persona giusta. Ma la cosa non svilisce il sentimento, anzi, semmai lo rafforza.
La neve cricca sotto il passo deciso di Ambrosio, accecato dal riverbero del giorno che si frange su quel candore irreale. Ha fretta di arrivare a casa, ma non riesce ad andare più veloce. Come un nuotatore che cerca di staccare bracciate precise e rapide in una piscina affogata nel cemento che lentamente si rapprende. Il Commisario si sente così quel giorno, mentre cerca di dibattersi nella morsa dell’inevitabile. Almeno, a casa, pensa, troverà una poltrona ad accoglierlo e un po’ di calore condominiale dispensato dal vecchio radiatore in ghisa a rinfrancarlo. Qualcosa che lo isoli dal mondo come la neve va isolando Milano sotto la sua coltre.
Le chiavi sono fredde quando si fruga nelle tasche e le trova, i gesti si fanno convulsi, il polso rotea un paio di volte alla ricerca di quella che apre il portoncino, alla cieca ancora nel buio del cappotto, che almeno fa un po’ più caldo che tirar fuori il mazzo ed esaminarle, sferzati dalla brezza gelida che corre d’intorno.
Su dalle scale, come un militare all’adunata batte i tacchi sullo zerbino della porta di casa, liberandosi delle zeppe di neve già ingrigita che gli macchiano di bagnato le scarpe, poi si precipita contro l’uscio spingendo prima ancora di aver finito di girare la chiave nella toppa, ansioso di liberarsi della palandrana e degli sguardi, forse, della vicina che perlustra il pianerottolo attraverso lo spioncino della sua abitazione.
Finalmente è dentro, e un senso di sicurezza si espande in lui nel ricevere l’accoglienza del piccolo appartamento. Ogni cosa al suo posto, senza la pretesa di un ordine reale.
Fuori, il vento si è intensificato, e la camelia regalo di Anita, la sua amica antiquaria che possiede un negozietto giù dalle parti di Brera, oscilla paziente dalla sua postazione sul davanzale, le gemme che forse stavolta, bruciate dal freddo, non si schiuderanno a mostrare i fiori screziati di carminio. Dovrei tirarla dentro, pensa Ambrosio, per non diventare complice di un omicidio perpetrato sotto i suoi occhi, un caso archiviato prima ancora di cominciare.
Già. Si volta.
Gli occhi del Commissario scorrono il mobilio, fino a focalizzare la poltroncina su cui va a sedersi. Lo fa con ritrovata calma, lentezza. Gode del fruscio del tessuto dei pantaloni che strofina sul broccato trapuntato di bottoncini. Si abbandona allo schienale, poggiando gli avambracci sui bassi braccioli nel mentre che la nuca tocca l’imbottitura e tutto il corpo si distende. Accanto, su un tavolino dalle gambette panciute, il pacchetto di bionde lo ammicca. Lui stende la mano, e la sigaretta con un movimento esperto passa dalla mano alle labbra. Gli occhi, fissi sul soffitto, ora privi di una reale occupazione, cedono il passo a un altro senso. Il gusto mielato del tabacco presto si stempera nell’amarognolo della nicotina e Ambrosio aspira con voluttà, godendosi quel rinnovato piacere, rimandando il proposito di smettere a un giorno più caldo.
Ci ha provato, ci vuole provare, ma non oggi.
Oggi accoglie il fallimento con gioia.
Perché niente lo può turbare più di quello che già è successo.
Socchiude gli occhi nel mentre che carezza tra pollice e indice la cravatta gialla, quella cravatta che era così titubante a indossare, tempo fa.
“Un po’ eccentrica, non trova?” Aveva chiesto a una bella signora un giorno, quasi a scusarsi con lei di esibire un tale addobbo.
“Mi piace.” Aveva risposto quella, e la risposta l’aveva inconsapevolmente messo tranquillo, tanto che ormai la indossava spesso. Quel giorno aveva discusso di routine con la donna, amante di un fumettista che dopo otto anni di relazione e quattrocento lunedì aveva lasciato, stanca. Il disegnatore invece, a Natale, aveva estratto una calibro e aveva lasciato queste sponde, piantando una semenza d’acciaio nel pieno del suo petto. Il seme di una camelia di ferro, resistente a mille tempeste, la cui fioritura era eterna. Frutto di un cuore spezzato.
Il pensiero si fissa nella mente di Ambrosio come un chiodo e le dita si serrano sulla cravatta.
Un meccanismo si incrina nel cuore del Commissario, la sigaretta non è più di conforto alcuno.
Emanuela se n’è andata. Non un addio vero e proprio, ma piuttosto un arrivederci.
L’aveva pensato, tempo prima nella stanza del fumettista suicida, che forse qualcosa poteva non funzionare tra loro, allora o più tardi, che forse il suo stile di vita alla lunga sarebbe stato un peso per lei, che la routine avrebbe congelato il loro rapporto.
Non che abbia fatto molto per impedirlo: le capacità deduttive sono dure da applicare su un territorio accidentato come quello delle relazioni sentimentali. Il cuore degli uomini è disseminato di lapidi e cicatrici, e tutte hanno un nome: per conoscere quei nomi, come ogni caso che si rispetti, occorrono domande e successive confessioni, inarrivabili talvolta anche agli uomini più innamorati.
E anche se avverte che Emanuela tornerà presto nella sua vita, a regalargli magari un’altra cravatta di cui dubitare, per quel giorno cede alla sconfitta.
E il Commissario sospira, perché oggi è un piccolo Re del Niente, assiso su un trono di broccato, al centro del suo regno di Via Solferino.
Una promozione a un grado a cui non avrebbe mai voluto ambire.
Presto abdicherò. Pensa, e nel mentre volge lo sguardo, verso la finestra.
La neve continua a cadere impietosa.

Questa è la mia ultima illustrazione, una copertina per un'antologia di poesie edita da Travenbooks. I simboli di sfondo sono tratti dal Theurgia Goetia di Aleister Crowley, il sublime Frater Perdurabo.

Per saperne di più su una delle menti più geniali del 900, date un'occhiata a
http://it.wikipedia.org/wiki/Aleister_Crowley